Non ce l’hanno fatta le major discografiche americane a condannare Jammie Thomas, 30enne disoccupata che era stata condannata a pagare 222 mila dollari per violazione del copyright a seguito di presunto scambio di file con il peer to peer. Una corte del Minnesota ha dato ragione alla donna in quanto non è stato possibile dimostrare l’effettivo scambio di file coperti da copyright. Mettere a disposizione un file non è di per sè un reato.
Il peer to peer diventa legale?
Il giudice ha dato ragione a Jammie Thomas perchè mettere a disposizione un file non significa per forza scambiarlo in rete. È un reato distribuire il file protetto da copyright, non il semplice metterlo in condivisione. Ed è praticamente impossibile beccare un utente nel momento in cui sta scambiando un file e soprattutto mantenerne traccia per presentarla davanti ad un giudice.
In questo modo il peer to peer ottiene via libera anche se (teoricamente) la pratica del file sharing rimane ancora illegale. Ma anche se illegale è quasi impossibile dimostrarne l’illegalità di fatto. Le tracce possono trovarsi infatti nei log di un server o all’interno del computer dell’utente ma in entrambi casi è molto semplice farle sparire.
Aggiungiamo a questo scenario anche la decisione del Parlamento europeo che ha bocciato le procedure anti peer to peer adottate in Francia. La questione sul copyright rimane aperta e non potrà essere risolta a colpi di avvocati. Serve adottare un sistema di copyright flessibile che permetta ai detentori di diritti d’autore di poter guadagnare qualcosa (poco rispetto a prima) in cambio di una libera circolazione dei contenuti.
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